Guido è nato a Bologna nel giugno del 1956. Dopo pochi anni si trasferisce a Roma dove vive otto anni ed è il padre pittore che lo avvia giovanissimo al disegno.
Tornato a Bologna alla morte del padre, frequenta il liceo artistico. Incontra poi il pittore Wolfango, dal quale apprende la pittura, il rigore nel lavoro e la ricerca di un proprio modo espressivo nel tentativo di sintetizzare la modernità con l’insegnamento dei maestri del passato, ma sempre all’interno della tradizione figurativa. Oltre alla pittura si dedica all’illustrazione editoriale ed architettonica e alla costruzione di modelli tridimensionali in legno e carta.
Dal ’90 vive a Genova, dove nel ’94 ha eseguito copia delle due grandi tele dell’Ansaldo, poste a chiusura dell’organo di destra della Cattedrale di San Lorenzo.
Dal 2012 insegna all’Accademia Ligustica di Belle Arti.
Ha esposto sue opere a Bologna, Parma, Lucca e Genova.
Da decenni siamo bloccati ed osserviamo inorriditi la desolazione culturale in cui il ‘900 ci ha costretti, senza riuscire a credere in una possibile ricostruzione. L’arte a cui pian piano ci siamo abituati non ci appartiene più, parla un linguaggio di pochi, costruito da pochi per pochi; ha perso il senso del sacro, ha rifiutato la mimesi della natura a favore di un concetto astratto, prediligendo il linguaggio, il discorso, il contenuto, come se questo potesse esistere al di fuori della forma, come se non fossimo anche noi natura, corpi fatti di carne e ossa e sangue, ma intelletto, puro concetto, idea platonica, che non si sporca con la vita. L’informale, in cui tanto ci riconosciamo noi contemporanei, e che la natura non può rinnegare perché frutto del nostro meccanismo percettivo e del nostro paesaggio dell’inconscio, è soltanto una parte del tutto e pertanto non può essere scambiata per il tutto stesso (medesimo discorso si può fare per l’arte concettuale).
Sarebbe ora di tornare a sporcarsi le mani, tornare a vedere, tornare a disegnare una mela, a dipingere un frutto, un’animale, una zolla di terra. Lì dentro possiamo ritrovare il conscio e l’inconscio, senza negare nulla, senza imbrogli o sovrastrutture intellettualistiche, senza paura della nostra caducità.
C’è un luogo tra le nostre mani e il cervello dove le cose si stratificano, acquisiscono senso e forza, lievitano, mutano, crescono; un luogo dove la purezza della ragione cede alla materia, conquistando un’altra dimensione, che è quella dell’arte.
È davvero necessario ricominciare da capo, riappropriarci delle cose del mondo per ritornare a sentircene parte. Siamo accerchiati da troppe immagini, troppi rumori, troppe sensazioni: occorre fare silenzio, abbandonare la confusione per tornare con pazienza a vedere, ascoltare e fare bene.
Ci vuole silenzio per capire e gioire della conquista della mela, della zolla, dell’essere che abbiamo di fronte ed è una gioia che non può essere tale se non è condivisa. Per questo motivo l’arte non dovrebbe essere spiegata, ma esaustiva, senza necessità di essere sorretta da altri linguaggi, così da essere capita, sentita, discussa, tornando ad essere parola di tutti, per tutti.